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La storia nascosta di Derinkuyu: la città sotterranea che affascina il mondo

Una città scavata nella terra, con 18 livelli e chilometri di tunnel. Derinkuyu è la meraviglia nascosta della Cappadocia: più che un rifugio, un modo di vivere.

La storia nascosta di Derinkuyu: la città sotterranea che affascina il mondo

Derinkuyu non si mostra subito. Prima bisogna scendere, lentamente, dentro la terra chiara e friabile della Cappadocia. Si entra in punta di piedi, quasi disturbando un segreto troppo grande per essere rivelato. Perché sotto i piedi, sotto le case, sotto tutto, si apre una città. Una vera città, viva e intricata, scavata nella roccia.

Un mondo nascosto, costruito senza clamore, che per secoli ha dormito in silenzio. E oggi, chi lo visita resta in silenzio anche lui.


Derinkuyu e i suoi misteri che non invecchiano mai

Tutto cominciò quasi per sbaglio, come spesso succede con le scoperte più sorprendenti. Era il 1963, in un tranquillo villaggio della Cappadocia. Un uomo stava sistemando casa, abbattendo un muro che forse non avrebbe dovuto toccare. E invece, dietro quel muro c’era un passaggio. E dietro il passaggio, un altro. E poi altri ancora. Una rete intera di corridoi, stanze, tunnel.


Così è venuta alla luce Derinkuyu, la città che nessuno ricordava più. E che invece era lì, a custodire la sua storia. Alcune sue parti risalirebbero all’VIII secolo avanti Cristo. Altri strati, invece, parlano di epoche diverse, di mani diverse che hanno scavato, ampliato, adattato. Ma perché costruire tutto questo sotto terra?

C’è chi dice che fosse un rifugio. Chi lo immagina come un luogo di preghiera. Chi pensa a un sistema di sopravvivenza vero e proprio. Ma forse la verità è fatta di tutte queste cose messe insieme. Derinkuyu era più di un nascondiglio. Era una città. Con la sua logica, i suoi ritmi, le sue abitudini.

Vita sotterranea: acqua, grano e silenzi

C’è da chiedersi come si potesse vivere sotto terra, senza sole, senza spazio aperto. E invece Derinkuyu risponde con la semplicità delle cose ben fatte. Aveva pozzi profondi per raccogliere l’acqua. Magazzini ampi per tenere il cibo al sicuro. Stalle per il bestiame. Non mancavano nemmeno luoghi per spremere l’uva, per conservare l’olio, per insegnare, per pregare.


Non era tutto organizzato alla rinfusa. C’era un ordine, una logica. Gli spazi comunicavano tra loro, i livelli erano pensati per essere percorsi anche da chi non aveva mappe. Persino l’aria circolava bene, grazie a condotti di ventilazione studiati con cura. Una città invisibile, ma viva.

E poi c’erano i tunnel. Quelli che collegavano Derinkuyu ad altre città sotterranee della zona. Alcuni lunghi centinaia di metri. Altri forse ancora più estesi. Era un modo per muoversi, per non restare isolati. Per scambiarsi notizie, aiuti, forse anche speranze.


Porte di pietra e cervelli fini

La parte forse più stupefacente di tutto è il sistema di difesa. Derinkuyu non era un posto da cui scappare in fretta, ma un rifugio pensato per resistere. Ogni piano poteva essere chiuso con enormi porte rotonde, fatte di pietra, spesse e pesanti. Si facevano ruotare e bloccavano l’accesso. Nessuno poteva scendere oltre se gli abitanti non lo volevano.

Chi ci ha messo le mani, quei secoli fa, sapeva cosa stava facendo. Conosceva la roccia. Conosceva i pericoli. Conosceva anche le persone, perché sapeva che per vivere sottoterra servono regole, ordine, pazienza.


E senza mezzi moderni, senza cemento, senza luce elettrica, hanno scolpito tutto a mano. Centimetro dopo centimetro. Una fatica che oggi pare quasi disumana, e che invece è la misura del tempo e della necessità.

Un labirinto che ancora parla

Ci sono tante città sotto terra sparse per il mondo. Ma Derinkuyu ha qualcosa che le altre sembrano non avere. Forse è quella sua verticalità, quei 18 livelli che si sprofondano giù senza fretta. O forse è quel senso di quotidianità, come se qualcuno, lì sotto, avesse davvero vissuto. Non solo nascosto. Vissuto.

In comunità, con regole, con ruoli, con silenzi. Gente che si svegliava, che cucinava, che cresceva i figli senza mai vedere il cielo. O magari usciva solo quando proprio non se ne poteva fare a meno.

Derinkuyu non fa rumore. Non ha decorazioni vistose. Non ha colonne o statue. Ma ha la sua pietra, che racconta in silenzio. Ha la sua luce fioca, che filtra solo nei primi metri. E ha i suoi segreti, che ancora oggi resistono alla curiosità di chi cerca.

Derinkuyu

Alcune zone restano inesplorate. Chissà cosa c’è laggiù, oltre le gallerie chiuse. Forse stanze rimaste come allora. Forse oggetti dimenticati in fretta. O forse nulla, solo altro vuoto. Ma anche quel vuoto, in un posto così, sembra pieno di qualcosa.

Foto © stock.adobe


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