Eric Bana è il volto perfetto di “Untamed”, la nuova miniserie thriller psicologico che da oggi è disponibile su Netflix. Una trama avvolgente tra natura selvaggia, indizi nascosti e demoni interiori che ha già conquistato gli appassionati del genere.
Tra canyon, silenzi inquieti e presenze misteriose, “Untamed” si muove con la lentezza tesa di una storia che non ha fretta di spiegarsi. E proprio per questo, tiene incollati. La tensione cresce scena dopo scena, grazie a un cast efficace e a una scrittura che semina dubbi più che risposte. Una visione ideale per chi ama perdersi nei paesaggi profondi tanto quanto nei labirinti della psiche.
Il paesaggio diventa protagonista silenzioso: non solo cornice, ma parte viva del racconto. Il vento che scuote gli alberi, i rumori lontani tra i rami, la nebbia che confonde i contorni — tutto amplifica il senso di inquietudine. Ogni passo dei personaggi nel bosco è anche un passo dentro qualcosa che non si vede, ma si sente. Una natura che osserva e, forse, giudica.
Una morte misteriosa tra le montagne e un investigatore fuori dagli schemi
Il cuore del racconto si apre con un evento drammatico: il ritrovamento di un corpo lungo la parete rocciosa del monte El Capitan, nel Parco Nazionale di Yosemite. La vittima, una giovane donna priva di scarpe e attrezzatura, viene scambiata inizialmente per un’escursionista inesperta. Ma qualcosa non torna. L’agente federale Kyle Turner, interpretato da Eric Bana, sospetta che non si tratti di un semplice incidente.
Kyle è un investigatore brillante ma tormentato, diviso tra senso del dovere e fragilità personali. Ha un divorzio alle spalle, una dipendenza latente dal bourbon e un rapporto complicato con i colleghi. Quando gli viene assegnato il caso, si trova a collaborare con la giovane agente Vasquez, tra cavalli, piste fangose e sentieri nascosti. La natura incontaminata diventa così teatro di un’indagine che si trasforma presto in una resa dei conti personale.
Thriller psicologico con sfumature umane (e paesaggi mozzafiato)
Oltre alla tensione narrativa, “Untamed” conquista per l’equilibrio tra introspezione e mistero. Il personaggio di Turner è costruito con sfumature realistiche: fragile, rabbioso, malinconico. La sceneggiatura, firmata da Mark L. Smith (già autore di The Revenant), dosa sapientemente silenzi, flashback e colpi di scena. Nulla è lasciato al caso, nemmeno i lunghi piani sequenza tra i boschi.
A rendere ancora più interessante la serie è il contrasto continuo tra la bellezza vertiginosa della natura e la brutalità delle azioni umane. Ci si muove tra alberi secolari, animali selvatici e simboli misteriosi incisi sulla roccia. Gli indizi sembrano fuori posto, ma è proprio lì che si nasconde la verità.
Non mancano personaggi secondari memorabili: dal sergente Souter, interpretato da Sam Neill, alla stessa Vasquez (Lily Santiago), l’unica capace di spezzare il guscio emotivo di Turner. E poi c’è lei, la “Jane Doe” senza nome, il cui passato oscuro lega il presente a un’estate lontana, tra campeggi per ragazzi e segreti mai confessati.
Un racconto di sopravvivenza e redenzione, tra istinto e giustizia
“Untamed” non è solo un giallo, è un racconto di sopravvivenza emotiva, un viaggio tra i sensi di colpa e il desiderio di rimediare. Turner non cerca solo l’assassino, cerca una pace interiore che sembra irraggiungibile. La miniserie gioca con lo spettatore, lo sfida a notare i dettagli, a capire se davvero ogni scelta sia stata libera.
Il ritmo è calibrato con intelligenza: parte lento, quasi sospeso, e poi accelera in una progressione che sorprende. Ogni episodio aggiunge un tassello, ogni dialogo una crepa. E il finale — senza anticipare troppo — lascia con una domanda: chi è davvero colpevole?
Un consiglio? Guardarla senza distrazioni, magari in una sera d’estate con le finestre aperte. Il respiro dei boschi, in fondo, arriva anche da lì. E certe storie, per essere sentite davvero, hanno bisogno di silenzio intorno.
Foto © Netflix