Il nuovo film Steve su Netflix con Cillian Murphy sta già facendo parlare di sé: atmosfera cruda, personaggi intensi e una domanda che si rincorre ovunque — ma è tratto da una storia vera?
Ambientato negli anni ’90 e incentrato sulla figura di un preside di un riformatorio per adolescenti in difficoltà, “Steve” non è il solito film educativo. C’è qualcosa nella sua intensità che lo fa sembrare vero, reale, vissuto. Ma la verità, come spesso accade, è più sfumata. Non si tratta di una cronaca, ma di un adattamento, molto libero, del romanzo Shy di Max Porter. Eppure, il modo in cui il film è costruito lascia spazio al dubbio.
Chi ha già visto il trailer o si è imbattuto nel volto scavato di Murphy nei primi frame, sente che dietro a quel personaggio c’è qualcosa di più. E non sbaglia.
Steve è tratto da una storia vera? Ecco cosa c’è dietro al film Netflix
Ufficialmente no: Steve non è tratto da una vicenda realmente accaduta. Ma è ispirato — e profondamente — alla realtà. La storia nasce da Shy, romanzo dello scrittore britannico Max Porter, che ha collaborato direttamente alla sceneggiatura del film. Nella versione letteraria, il protagonista era lo studente Shy, un ragazzo problematico intrappolato tra rabbia e desiderio di cambiamento.
Per il film, però, è stata scelta un’impostazione diversa: la prospettiva si sposta sull’adulto, l’insegnante. Steve diventa così il centro della narrazione, un uomo qualunque alle prese con una giornata che potrebbe cambiare tutto. Si parla di educazione, certo, ma anche di burnout, di lotta interiore, di sistemi che crollano.
È interessante notare come questo cambio di punto di vista abbia aumentato l’intensità emotiva della storia. Steve, interpretato da un Cillian Murphy che ha messo anima e corpo nel ruolo, è un uomo che combatte contro il fallimento, il proprio e quello di un’istituzione. Il fatto che il personaggio sia stato scritto su misura per lui — come ha rivelato lo stesso attore — aggiunge ulteriore densità.
Cillian Murphy: “Steve è il ruolo più terrificante della mia carriera”
Conosciuto per i suoi ruoli tormentati, da Tommy Shelby in Peaky Blinders al recentissimo Oppenheimer, Cillian Murphy ha dichiarato che Steve è stato il personaggio più difficile e inquietante che abbia mai interpretato. E questo, considerando la sua filmografia, la dice lunga.
In un’intervista, l’attore irlandese ha spiegato che il film tocca corde molto personali, anche perché gran parte della sua famiglia lavora nella scuola. C’è quindi una connessione emotiva profonda, ma anche una responsabilità nel dare voce a figure spesso dimenticate, come quella del docente che cerca di resistere in un sistema che non funziona più.
Il regista Tim Mielants, già compagno di lavoro di Murphy in Peaky Blinders, ha costruito attorno a lui un mondo cupo, essenziale, in cui ogni gesto ha un peso. Nulla è spettacolare nel senso classico: la tensione nasce dalle pause, dagli sguardi, dai silenzi. Una scelta che rende il film quasi documentaristico, e forse è proprio da lì che nasce la sensazione che sia tutto accaduto davvero.
Una storia di fallimenti, silenzi e piccoli atti di resistenza
Anche se Steve non racconta una storia vera in senso stretto, riflette moltissime situazioni reali. Chiunque abbia avuto a che fare con la scuola, con la marginalità, con l’adolescenza difficile, si riconoscerà in almeno una scena.
Il personaggio di Shy, interpretato da Jay Lycurgo, non scompare affatto: anzi, resta un elemento centrale, anche se il film non ruota più intorno a lui. La sua rabbia, i suoi sbalzi emotivi, il bisogno disperato di essere visto — tutto questo è raccontato senza filtri.
Non mancano i momenti duri, le tensioni emotive forti, ma c’è anche uno spiraglio di umanità che attraversa tutto il racconto. Una voglia di non arrendersi, che accomuna Steve e i suoi studenti. Il fatto che il film sia ambientato negli anni ’90 non lo rende distante: molte delle dinamiche raccontate sono ancora drammaticamente attuali.
Steve su Netflix: un film che sembra vero, anche se non lo è
In fondo, quello che rende Steve un film così potente su Netflix non è il fatto che sia tratto da una storia vera, ma il modo in cui riesce a sembrare autentico. Ogni scena ha un peso, ogni battuta sembra uscita da una conversazione reale. Nulla è esagerato, tutto è calibrato per colpire senza urlare.
Ci si crede perché è scritto con cura, recitato con intensità e costruito con uno sguardo empatico verso le fragilità. E forse è proprio questa l’intuizione più forte di Max Porter: raccontare il disagio senza giudicarlo, mostrando i personaggi nella loro nudità emotiva.
Chi ama i drammi intensi, profondi e senza soluzioni semplici, troverà in Steve una visione coinvolgente. Ma è anche un film che fa pensare. Non tanto per i colpi di scena, quanto per quello che lascia addosso. Quella sensazione — sottile, ma persistente — che ci siano molte storie simili in giro. Solo che nessuno le racconta così.
Foto © Netflix